martedì 29 dicembre 2015

Salute mentale: quasi il 70% dei pazienti psichiatrici può "riprendersi" la vita

Il libro “Recovery", a cura di Antonio Maone e Barbara D'Avanzo (Raffaello Cortina) fa il punto sulle pratiche di inclusione attraverso lavoro e abitazione autonoma auspicate da Basaglia. “Per realizzarsi come persone non è necessaria la ‘guarigione’ completa”

Pubblicato su Redattore Sociale il 9 ottobre 2015
"Mentre alcuni terapeuti tradizionali potrebbero essere descritti come persone che adottano l'atteggiamento ‘io lo so, io te lo dico’, la posizione che io sostengo è ‘tu lo sai, dimmelo’”. Il volume "Recovery" curato dagli psichiatri Antonio Maone e Barbara D'Avanzo per Raffaello Cortina editore, si apre con una frase di John Bowbly sul lavoro degli operatori della salute mentale che curano chiedendo la partecipazione attiva del paziente.
La copertina del libro
Recovery - copertina libro
Il libro di Maone e D'Avanzo illustra e analizza - attraverso riferimenti agli innumerevoli studi e esperienze finora realizzati sul tema - la pratica della recovery, che si è affermata negli ultimi anni prima nel mondo anglosassone e recentemente si sta diffondendo anche in Italia. Il concetto di recovery, che si può tradurre con il termine "riprendersi" più che con "guarigione" sta proprio nel "tentare di restituire ciò che ogni psichiatra rischia di sottrarre nel suo entrare in scena nella vicenda esistenziale del paziente", ovvero "il diritto di scegliere, la possibilità di ricostruirsi una vita". Come evidenziato nella prefazione di Massimo Cosacchia, presidente della Wapr (World Association for Psychosocial Rehabilitation), i due curatori del volume hanno per la prima volta risposto all'esigenza di chiarificazione di un fenomeno che si è affermato negli ultimi anni e che ha "attraversato e nutrito le esperienze di deistituzionalizzazione", in attuazione, tra l'altro, del pensiero di Franco Basaglia.
Quasi il 70% dei pazienti psichiatrici può “riprendersi” la vita  Nel primo capitolo di “Recovery” Maone riassume gli studi realizzati nell'ultimo secolo sulla possibilità di cura delle persone che soffrono di disagio mentale: “Se analizziamo i dati per definire il numero di casi che, a distanza di molti anni dal primo ricovero non hanno più sintomi e non assumono farmaci e hanno al massimo una limitazione in una delle aree del funzionamento (lavoro, vita indipendente e relazioni sociali) – afferma - si ottengono percentuali che vanno dal 53 per cento al 68 per cento”.
Oltre la psichiatria: non è necessaria la guarigione completa  In più parti nel libro si afferma che per avere una vita soddisfacente e per realizzarsi come persone non è necessaria la "guarigione" completa dai sintomi della malattia mentale, ma la capacità di "riprendersi". Il secondo capitolo del volume, intitolato "La vita, oltre la psichiatria" e' scritto da Wilma Boevink una paziente psichiatrica che ha fatto del proprio male un oggetto di studio e che racconta, attraverso episodi della propria vita, sia la ghettizzazione sociale e l'umiliazione sottile determinata dall'istituzionalizzazione dei pazienti, sia la possibilità di una vita "nonostante la malattia" offerta da esperienze improntate alla recovery.
Rischio sfruttamento dei disoccupati “a rischio depressione”
Gli strumenti concreti attraverso i quali è possibile la riabilitazione psichiatrica secondo larecovery coincidono con gli aspetti determinanti dell'inclusione sociale: lavoro e vita indipendente. A questo tema è dedicato il capitolo 10 del volume, a cura di Angelo Fioritti e Antonio Maone, che analizza gli interventi di tipo sociosanitario che possono favorire l'inserimento lavorativo e opportunità di vita indipendente. Si evidenzia come questo tipo di percorso si contrapponga diametralmente alla pratica dell'istituzionalizzazione in strutture psichiatriche che tendono invece a escludere i pazienti dal proprio contesto sociale più di quanto abbia già fatto la malattia. Si cita, come norma che per l'Italia ha facilitato l'inserimento lavorativo per persone con disabilità psichica, la legge 68 del 1999. Viene tuttavia riportato il rischio di strumentalizzazione di questa legge, nel contesto di crisi economica: "Alcune amministrazioni hanno iniziato a utilizzare le borse lavoro per i cittadini disoccupati ‘a rischio depressione’ per servizi che loro stesse devono garantire, ottenendo indirettamente manodopera a basso costo".
L'abitazione supportata  Nel volume si parla di come - nonostante in Italia la chiusura dei manicomi seguita alla Legge Basaglia del 1978 - le persone con disabilità psichiatrica siano a rischio "re-istituzionalizzazione": "Strutture concepite come riabilitative e transitorie in vista della vita autonoma, tendono invece a divenire ‘case per la vita’”. Si vive in strutture psichiatriche perché si hanno sintomi di malattia mentale, ma - emerge dal libro - è vero anche il contrario. La soluzione suggerita per uscire dal circolo vizioso è "valutare separatamente bisogni abitativi e bisogni assistenziali". Nella pratica possono essere promossi progetti di abitazione indipendente supportata dagli stessi servizi di salute mentale che garantiscano, oltre all'assistenza sanitaria, anche la possibilità di avere uno spazio proprio, il diritto alla privacy e quello alla scelta della propria sistemazione abitativa. Si tratta di soluzioni - frutto di esperienze ancora sperimentali in Italia - apprezzate dai pazienti ma ancora spesso viste con sospetto da operatori della psichiatria e dagli stessi parenti dei malati.
Il cambiamento necessario nei servizi di salute mentale  Il "cambiamento organizzativo" dei servizi di salute mentale necessario per promuovere larecovery è al centro del nono capitolo del volume, scritto da Geoff Sheperd. Il testo contiene indicazioni concrete per gli operatori di salute mentale sintetizzate in 10 "sfide organizzative" elaborate nell'ambito del modello anglosassone dove le pratiche ispirate alla recovery sono già molto diffuse. In particolare si auspica una relazione terapeutica che "promuova la collaborazione e la speranza" e che sostenga "progetti e sogni per il futuro" e un focus "sui bisogni degli utenti più che su quelli dei servizi". (Ludovica Jona)

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