lunedì 28 ottobre 2013

Olivetti, oltre la fabbrica


“Le sole cose che lo attraevano al mondo erano l’urbanistica, la psicanalisi, la filosofia e la religione”, così Natalia Ginsburg in “Lessico Familiare” parla di suo cognato Adriano Olivetti, Questo imprenditore fuori dal comune, guidò per un trentennio la storica azienda di macchine da scrivere e fu protagonista della sua straordinaria crescita. Oggi il nome Olivetti non rimanda più ai concetti di qualità, innovazione ed espansione commerciale, ma resta legato all’idea di apertura ai lavoratori e ricerca di incontro con le esigenze sociali dell’epoca.
Varie furono le iniziative che Adriano volle collegare alla sua industria: progetti urbanistici e sociali per migliorare la vita degli operai, ma anche una casa editrice e il movimento politico “Comunità” che perseguirono crescita culturale e sviluppo locale. In tempi in cui era inimmaginabile, ha così realizzato l’attuale concetto di “responsabilità sociale d’impresa”.

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante , una destinazione, una vocazione anche nella vita di fabbrica?” Questa la domanda ricorrente, che ha accompagnato Adriano nell’evoluzione dell’Olivetti.

Il fondatore della “Ing. C. Olivetti & C”, prima fabbrica italiana per macchine per scrivere fu nel 1908 Camillo Olivetti. Dopo un viaggio negli Stati Uniti per capire come gli americani riescono dove gli italiani sono fermi, ovvero nel trasformare le scoperte scientifiche in tecnica, il ventisettenne Camillo costruisce egli stesso la fabbrica e brevetta molti strumenti. Si tratta di un’azienda di 20 dipendenti che produce circa 20 macchine alla settimana. Tra i primi socialisti di Ivrea, il padre di Adriano, passava molto tempo con gli operai, insegnando e correggendo loro il lavoro. Adriano ragazzo, spedito a lavorare in fabbrica aveva l’aveva trovato“una tortura per lo spirito, che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina”. Egli aveva un carattere più timido e idealista e sognava un futuro nel giornalismo politico. Fu proprio il fascismo, distruggendo le aspirazioni per la carta stampata, ad attenuare la ribellione ad entrare nella fabbrica paterna.

Anche l’avventura industriale di Adriano comincia con un viaggio in America. Nel 1925, ventiquattrenne, fresco di laurea in ingegneria al Politecnico, il giovane Olivetti trascorre quasi sei mesi visitando fabbriche e raccogliendo letture sull’organizzazione del lavoro di fabbrica negli Stati Uniti. L’interesse con cui aveva letto “Principi di organizzazione scientifica del lavoro” di Taylor, si trasforma in meraviglia, con la visione della sua applicazione nella fabbrica Ford. Adriano torna dagli Usa con progetti di un capovolgimento della situazione esistente nella fabbrica: organizzazione del personale decentrata e distinzione per settori di attività. Inoltre vuole un gruppo di dirigenti che non si limiti a alla gestione delle attività normali, ma accumuli esperienze e idee per anticipare le nuove esigenze. Ne consegue la sostituzione dei capi formati con la gavetta, con gli ingegneri 110 e lode del Politecnico. Camillo lascia fare ma ammonisce:”tu puoi fare qualunque cosa, tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”.
Le trasformazioni aziendali non impediscono agli Olivetti l’attività antifascista, e Adriano è tra i promotori di proteste contro il delitto Matteotti e partecipa alla fuga di Turati. Seguì il matrimonio con Paola Levi, sorella di Natalia poi sposata Ginsburg, e un lungo viaggio di nozze in Europa.

In seguito alla riorganizzazione dell’industria, Adriano sente il bisogno di andare oltre, di operare anche su ciò che c’è fuori dalla fabbrica e che tuttavia è collegato con il lavoro che vi si svolge. I  principali progetti con cui l’Olivetti persegue scopi sociali, sono opere d’urbanistica: case per impiegati, case popolari, e il nido d’infanzia d’Ivrea sono costruite per creare “un’atmosfera di luminoso ottimismo”. Anche la nuova fabbrica, che inizia a progettare nel 1934, è caratterizzata da un’ampia parete di vetro che lascia finalmente filtrare la luce. Adriano apre inoltre una galleria di negozi dove si entra “non per comprare, ma per vedere, per cogliere un’immagine diversa”.

L’obbiettivo di condurre ad una sviluppo delle nuove idee e alla crescita dell’istruzione, sarà perseguito anche con la creazione nel 1941 della Nei, la “Nuove Edizioni Ivrea”. La casa editrice, tratterà di psicologia, di letteratura, di economia.. Per aprire agli italiani quell’orizzonte che il provincialismo fascista negava. In quel periodo Adriano, di padre ebreo e madre valdese, ha ripetutamente bisogno della certificazione di “razza ariana” da parte della Questura di Aosta. Tuttavia egli sceglieva collaboratori quasi tutti ebrei, o, come lui, “mezzo ebrei”, che considerava segno di vitalità di spirito.

La guerra mondiale non danneggia l’industria Olivetti: nel 1942 ha 4.673 dipendenti e produce oltre a 64.000 macchine da scrivere e più di 2.500 macchine da calcolo, mostrando i frutti della riorganizzazione. Adriano, che non dubita della vittoria della vittoria della superiorità delle potenze alleate, legge tutti i programmi dei movimenti clandestini antifascisti ed elabora egli stesso un documento. Ha inoltre un piano di cospirazione contro il regime, perseguendo il quale viene incarcerato a Roma nell’estate del ’43 e liberato poco dopo l’8 settembre, “con ordine di scarcerazione a firma illeggibile” secondo la questura di Roma.

Durante l’occupazione tedesca Adriano era a Roma e con altri antifascisti frequentava la casa di mio nonno Alberto Jona che conosceva dalla gioventù a Torino e che ora lavorava come ingegnere per la Olivetti. Fu in quel periodo che, essendo incarcerato e poi trucidato Leone Ginsburg, Adriano andò a prendere Natalia che non era più al sicuro e lasciò per alcuni giorni ai miei nonni uno dei figli. Lei lo racconta così: “M’aiutò a  fare le valigie, a vestire i bambini; e scappammo via e mi condusse da amici che acconsentivano ad ospitarmi. Ricorderò sempre la sua schiena china a raccogliere per le stanze i nostri indumenti sparsi, le scarpe dei bambini con gesti di bontà umile, paziente”.

Il progetto di Adriano Olivetti per il dopoguerra era fondato sull’idea di “Comunità”, come superamento dell’individuo liberale e dello stato collettivista, come egli definì nel L’”Ordine politico delle Comunità”: “una comunità né troppo grande né troppo piccola, concreta, territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che desse a tutte le attività quell’indispensabile coordinamento, efficienza e rispetto della cultura umana, della cultura e dell’arte, che si era realizzato in una singola industria”. Immagina l’Italia scomposta in 400-500 comunità e ricomposta su base federale. Vuole che la comunità resti il centro dell’autogoverno e i gradini superiori ne assicurino solo il coordinamento con lo Stato”. Come strumento propone le ISA-Industrie Sociali Autonome, o le AAA-Associaizoni Agricole Autonome, dove lavoratori, comunità e università partecipano assieme alla proprietà e alla gestione. Prevede il passaggio in forme pacifiche con il riscatto delle azioni degli eredi da parte della comunità, alla morte del fondatore.

Subito dopo la seconda guerra, Adriano è più attratto dal suo progetto di riforma sociale che dalle questioni della fabbrica, per cui parte per Roma lasciando la gestione della Olivetti al fratello Massimo. Nel 1946 tuttavia, deluso dalle speranze del dopoguerra torna a Ivrea nel ruolo di Presidente. Rilancia la fabbrica con una politica di alta tecnologia (calcolatrici) e innalzamento dei salari. Gli altri famigliari sono contrari al progetto di utilizzare la fabbrica come mezzo per una nuova politica sociale. Tuttavia Adriano fa nascere la rivista “Comunità” che persegue tali ideali e mira a trasformare la regione attorno a Ivrea in un laboratorio sperimentale, in cui fa costruire biblioteche complete di ogni novità editoriale, centri di assistenza medica e centri che organizzano mostre, convegni e corsi professionali con attori della Rai o esperti di agronomia. Adriano chiama e assume “senza obbligo di orario” intellettuali e anche contestatori e anarchici per far parte degli organi di “Comunità”. In tutto questo la struttura restava piramidale, al vertice restava sempre lui, l’ingegnere.

Adriano tentò anche di applicare nel meridione le idee comunitarie, per migliorare si le condizioni materiali delle genti del sud, ma in modo che queste non perdano la loro identità, “anzi contribuiscano a dare al mondo operaio quella vitalità spirituale che sembra smarrita”.

Fonte: Adriano Olivetti, La Biografia -Valerio Ochetto

Ludovica Jona- Ilcassetto.it

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