lunedì 14 dicembre 2009

Il Natale di Navtej (1 anno dopo l'aggressione di Nettuno)

Era giunto da un paese lontano e quando ha perso l'occupazione precaria si era trovato da solo, un senzatetto. Un giorno di pieno inverno tre ragazzi gli hanno tirato della benzina e hanno acceso il fuoco. In molti ricorderanno la storia di Navtej Singh Sidho, l'"indiano bruciato" nella stazione di Nettuno, il 31 gennaio scorso. Non si credeva che sarebbe sopravvissuto, ma i medici hanno lottato con lui e poi lo hanno assistito, per mesi. Ora è tornato l'inverno e Navtej può dire che ce l'ha fatta. Solo a sopravvivere però, perchè le sue gambe non possono più dirsi tali e almeno per alcuni mesi deve rimanere sulla sedia a rotelle. Ma ora deve abbandonare la struttura di riabilitazione di Telese Terme che lo ospitato per questi mesi. Il 24 o il 25 dicembre sono i giorni in cui si prevede la sua dimissione. Una data che fa riflettere e che forse salverà questo ragazzo di 35 anni. Forse nessuno avrà il coraggio di riportarlo in strada, proprio quel giorno. Forse. Perchè la generosità espressa dalle istituzioni nei giorni dell'attenzione mediatica è, finora, rimasta parole. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il sindaco di Nettuno Alessio Chiavetta, gli avevano assicurato un alloggio, mentre il presidente del Senato Renato Schifani, gli aveva promesso un lavoro. "Ma non è arrivato niente, e noi non sappiamo cosa fare quando lui uscirà dall'ospedale", denuncia Balray Singh, rappresentante della comunita' Sikh di Roma e membro della consulta religiosa della Capitale, che ha avuto dall'ambasciata indiana l'incarico di seguire le vicende sanitarie e legali di Navtej, per conto della sua famiglia. "Abbiamo continuato a chiedere quanto era stato promesso, ma senza avere risposte – aggiunge – soprattutto all'assessore ai Servizi sociali di Nettuno, Domenico Cianfriglia, che continua a rassicurarci, ma finora ci ha dato solo parole". Per quanto riguarda il lavoro, Singh afferma che "ora può fare solo un lavoro tranquillo, che gli permetta di restare seduto", e si appella di nuovo alla solidarietà delle istituzioni, o delle persone. Ma la cosa più urgente, resta l'alloggio. Singh racconta poi del processo ai tre ragazzi, che ha seguito: è stata data la prima condanna, di 5 anni, al più giovane, che ha confessato, mentre per i due maggiorenni ci sarà un'udienza nei prossimi giorni. Ma resta alta la preoccupazione per gli episodi di razzismo di cui sono continuamente oggetto i suoi connazionali, lavoratori agricoli nelle zone di Anzio, Aprilia e Lavinio: "Ciò che accade più spesso - dice – è che quando la sera tornano a casa in bicicletta, alcuni ragazzi in automobile, si fermano aprono gli sportelli e li spingono a terra. "I ragazzi a volte si fanno male in seguito a questo tipo di aggressioni, che accadono almeno due volte al mese, anche se di solito non denunciano perchè hanno paura di andare alla polizia, se non hanno i documenti".

Uscito anche su Epolis Roma di oggi

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