domenica 12 luglio 2009

INTERVISTA A MAMADOU CISSOKO, PRESIDENTE DELLA RETE DEI CONTADINI AFRICANI


pubblicato anche sulla rivista di VPS (Volontari Per lo Sviluppo: www.volontariperlosviluppo.it)

Occhi magnetici e ironici, un fisico imponente reso ancora più autorevole dall’abito tradizionale del Senegal. E’ una presenza carismatica, Mamadou Cissoko, il presidente onorario della Roppa, rete di migliaia di associazioni di contadini africani. E' a Roma invitato da ITALIAFRICA, rete di ONG e associazioni del nostro paese, che da anni lavora al fianco dei contadini africani nelle lotte politiche e di lobbying, per la costruzione di politiche agricole sostenibili tanto nel Nord come nel Sud del mondo.

Sorride quando gli chiedo di commentare la proposta del ministro Franco Frattini sullo stanziamento di 30 milioni di euro per un grande programma di cooperazione e prevenzione dell’immigrazione in Senegal: “Frattini non dovrebbe parlare con il governo, ma con i migranti stessi che sono i soggetti interessati!” I senegalesi che vivono in Italia sono 6000, più circa 12.000 irregolari: con il loro lavoro producono il 10 -13 per cento del Pil del Senegal. Citando questi dati Cissoko ironizza ancora: "Questa percentuale supera la proposta di Frattini, che quindi non ci conviene!” Ma poi riprende serio: “Non ci servono soldi dei paesi dell'Unione Europea, ma politiche che rendano possibile il nostro sviluppo: io non sono venuto in Italia per
ché penso l'Europa possa sviluppare l'Africa, ma per prevenire che la distrugga!”

“Oggi il Senegal è invaso da prodotti europei che, grazie alle sovvenzioni di cui beneficiano, risultano più economici di quelli africani”, spiega Cissoko. “Nei paesi africani invece i sussidi all'agricoltura sono inesistenti poiché per 20 anni Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale hanno posto l'eliminazione di qualsiasi aiuto pubblico all'agricoltura, come condizione per l'erogazione di aiuti e prestiti” continua il rappresentante di Roppa. In Africa, su una media di 247 dollari investiti per ettaro coltivato, solo un dollaro è assicurato dall'aiuto pubblico, mentre il resto deve essere fornito dai contadini stessi. Così, di fronte all'arrivo di prodotti sussidiati dalla Pac (Politica Agricola Comune) dell'Unione Europea, gli agricoltori africani non hanno altra scelta che abbandonare le campagne, riversarsi in massa nelle città in cerca di lavoro e, a volte, imbarcarsi alla ricerca di un futuro migliore in Europa. “Questa situazione – dice ancora Cissoko – è diventata ancora più complessa quest'anno con l'aumento della concorrenza di Brasile e India, che producono banane e altri beni alimentari a prezzi più bassi dei paesi africani”. Nel 2008 infatti l'Unione Europea, per adempiere agli obblighi assunti con l'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), ha interrotto i rapporti economici preferenziali con i paesi Acp (le ex colonie di Africa Caraibi e Pacifico), tra cui vi sono molti Stati africani.

Per Cissoko, l'unica via per frenare la fuga dalle campagne, paradossale in tempi di crisi alimentare, è proteggere le economie africane “come ha fatto l'Europa per 50 anni” e rafforzare l'integrazione commerciale attraverso l'Ecowas e le altre organizzazioni economiche regionali del continente. “Come dice l'Ifad, sono necessari investimenti nell'agricoltura contadina – conferma Sissoko – ma soprattutto in vie di comunicazione che facilitino gli scambi tra paesi africani”. Su questa linea si inserisce l'appello della Coalizione Mondiale contro la Povertà che in occasione del vertice economico del G7, ha chiesto ai paesi più ricchi del mondo di aumentare i finanziamenti all'agricoltura (da 3,9 miliardi di dollari annui a 30), per perseguire l'obiettivo del Millennio che prevede il dimezzamento del numero di persone che soffrono la fame nel mondo. Nell'ultimo anno invece tale cifra è aumentata, raggiungendo l'impressionante cifra di 963 persone sotto alimentate. Delle quali circa tre quarti, abitano in aree rurali.

Negli ultimi anni l'agricoltura è stata trascurato dagli investimenti pubblici per lo sviluppo: se tra 1980 e 2007 i paesi industrializzati (Ocse) hanno aumentato gli aiuti allo sviluppo da 20 a 100 miliardi di dollari, negli stessi anni i fondi destinati a progetti agricoli sono scesi da 17 a 3 miliardii, la maggior parte dei quali, secondo l'organizzazione Via Campesina, non sono andati ai piccoli produttori. Un documento pubblicato dalla Campagna EuropAfrica (rete di associazioni della società civile europee e africane) sottolinea: “In Africa occidentale l'agricoltura familiare impiega il 60 per cento della popolazione attiva, occupando il 90 per cento delle terre coltivate: se fosse sostenuta adeguatamente potrebbe soddisfare la crescente domanda di cibo del continente”. “Non è la fame, a provocare la migrazione dei popoli dell’Africa occidentale, che sono per tradizione viaggiatori – conclude Cissoko - ma certo la crisi alimentare degli ultimi tempi l’ha dato nuovo impulso alla fuga”. Per porvi rimedio sarà necessario mettere rapidamente in pratica le indicazioni stabilite dalla conferenza delle quattro reti regionali di agricoltori africani (Roppa per l'area occidentale del continente, Propac per quella centrale, Eaff per l'orientale e Sacau per l'australe) secondo cui i governi africani dovranno “assicurare la protezione dei mercati locali”, ma anche “destinare il 20 - 30 per cento dei propri bilanci al sostegno delle attività agro – silvo -pastorali e della pesca”. Si chiede quindi di investire in Africa i circa 25 miliardi di dollari che la Commissione Economica Africana ha calcolato vengano spesi ogni anno per l'importazione di cibo da Europa, Cina e Americhe. Un cambiamento di rotta impossibile, dicono le organizzazioni africane, se le istituzioni dei Paesi sviluppati si opporranno. La palla passa al prossimo G8.

Per ulteriori approfondire:
(www.europafrica.info).

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